Le storie
Marina
52 anni, diagnosi a 44
Sono una maestra d’asilo e l’ultimo giorno di scuola del 2009 ho fatto un’ecografia al seno: non ho iniziato le ferie quell’anno ma le cure. Una manciata di giorni dopo sono stata operata. Non ho avuto il tempo di capire nulla, ero come un automa, abbronzata, apparentemente in forma, ma avevo un cancro che ho chiamato da subito “Barbablù” per dargli un’identità ed affrontarlo. Era un tumore problematico, che ha comportato lo svuotamento del cavo ascellare. Dopo l’operazione ho iniziato a sentirmi malata.
Vivevo una vita parallela su internet a cercare notizie e conforto da chi poteva capire e aiutarmi a lenire il senso di isolamento interiore. Ho fatto sedici chemioterapie, anche se avevo il terrore degli aghi fin da bambina, per via delle iniezioni di penicillina. Ho perso i capelli, ma non ho indossato la parrucca: non volevo nascondermi, non volevo neanche essere guerriera, volevo solo curarmi. Poi la radioterapia e una pastiglia per dieci interminabili anni.
Il linfedema, il gonfiore al braccio, tardivamente curato è stato la velenosissima ciliegina sulla torta e un continuo promemoria della malattia. Ma mi ha avvicinato alle Pink Amazons e al Dragon Boat, ho iniziato a pagaiare e non mi sono più fermata, malgrado freddo, nebbia e fatica. È stata una bella scoperta. Fare sport insieme alle altre donne è un balsamo potente che mi riappacifica con il corpo, non più solo malato e appesantito dalle cure, ma nuovamente tempio sacro, proprio come lo sentivo sul Cammino di Santiago.
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Date: Aprile 20, 2018
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